Il Codice Del Quattro by Ian Caldwell e Dustin Thomason

Il Codice Del Quattro by Ian Caldwell e Dustin Thomason

autore:Ian Caldwell e Dustin Thomason [Thomason, Ian Caldwell e Dustin]
Format: epub
Tags: Suspense & Thrillers
pubblicato: 2004-01-13T22:00:00+00:00


Nel disastro che seguì la scoperta del diario del comandante di porto, Taft si trasferì da Manhattan all'Istituto, un paio di chilometri a sud-est del campus di Princeton, in una casa rivestita di legno dipinto di bianco. Forse fu a causa del suo isolamento o forse della frustrazione, sta di fatto che nel giro di qualche mese, nella comunità accademica corse voce che Vincent beveva. La storia definitiva che aveva progettato a poco a poco cadde nel dimenticatoio. Fu come se la sua passione e le sue grandi capacità si fossero disgregate.

Tre anni dopo, in occasione della sua successiva pubblicazione - un volumetto sul ruolo dei geroglifici nell'arte rinascimentale - divenne chiaro a tutti che la carriera di Taft era giunta a un punto morto. Sette anni dopo, quando un suo articolo venne pubblicato su una piccola rivista, il recensore definì il suo declino una tragedia. Secondo Paul, la rottura con Curry e con mio padre continuò a ossessionarlo. Nei venticinque anni che intercorsero tra l'arrivo all'Istituto e il suo incontro con Paul, Vincent Taft pubblicò soltanto quattro lavori, preferendo dedicare il proprio tempo a scrivere critiche sulle opere di altri studiosi, in particolare di mio padre. Ma in nessuno di quei libri c'è traccia della genialità folgorante della sua giovinezza.

Deve essere stato l'arrivo di Paul nella sua casa, la primavera del nostro primo anno a Princeton, che riportò l'Hypnerotomachia nella vita di Vincent. Quando Taft e Stein incominciarono ad assisterlo nel suo lavoro di tesi, Paul mi parlò con ammirazione delle intuizioni geniali del suo mentore. Per molte sere il vecchio orso lavorò assieme a lui con accanimento disperato, recitando a memoria lunghi passi delle fonti primarie che Paul non riusciva a trovare in biblioteca.

«Fu l'anno in cui Richard sovvenzionò il mio viaggio in Italia» racconta Paul passando una mano sul bordo dello sgabello del pianoforte. «Eravamo così entusiasti. Anche Vincent lo era. Lui e Richard non si rivolgevano la parola, ma tutti e due sapevano che ero sulla buona strada. Incominciavo a capirci qualcosa.

«Abitavo in un appartamento di proprietà di Richard, che occupava tutto l'ultimo piano di un palazzo del Rinascimento. Era un edificio sontuoso, stupefacente. C'erano dipinti sulle pareti, dipinti sui soffitti, dipinti ovunque: Tintoretto, i Carracci, Perugino. Era come stare in paradiso, Tom. Una bellezza da togliere il fiato. Richard si svegliava il mattino e mi diceva: "Paul, oggi devo lavorare". Poi incominciavamo a chiacchierare e dopo mezz'ora si toglieva la cravatta e diceva: "Al diavolo il lavoro. Prendiamoci una giornata di vacanza". Finivamo per passare tutto il tempo chiacchierando, a zonzo per la città. Noi due soli. Camminavamo e parlavamo per ore.

«Fu allora che mi raccontò dei suoi anni a Princeton. Dell'Ivy e di tutte le avventure che aveva avuto, delle pazzie che aveva fatto, delle persone che aveva conosciuto. Di tuo padre, in particolare. È stato per me un periodo vitale, entusiasmante, voglio dire, niente di paragonabile a quanto ho vissuto qui a Princeton. Ero completamente rapito. Vivevo in un sogno, un sogno perfetto. Anche Richard viveva in un sogno.



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